I principali indici di riferimento europei, statunitensi e asiatici hanno in gran parte chiuso in negativo la settimana appena trascorsa allontanandosi dai massimi storici, spinti verso il basso dal sentimento prevalente di avversione al rischio innescato dai deludenti report macroeconomici provenienti sia dagli Stati Uniti che dalla Cina, anche se nemmeno in Europa abbiano sorpreso particolarmente.
In particolare, Wall Street ha vacillato a seguito della pubblicazione degli ISM, sollevando preoccupazioni sul fatto che la più grande economia del mondo potrebbe dirigersi verso una probabile recessione: se i servizi in qualche modo riescono a tenere, la manifattura continua il suo percorso di sofferenza.
Nvidia, l'iconica azione di intelligenza artificiale (IA), ha registrato un calo del 10% per i cinque giorni di negoziazione, pesando sulle azioni tecnologiche globali (ed in realtà su tutto lo S&P 500), mentre il gigante europeo dei semiconduttori ASML ha subito una contrazione dell'11%.
Nel frattempo, altri strumenti come l'oro, lo yen giapponese e i titoli di stato sono rimasti piuttosto stabili, poiché, come spesso capita in periodi di turbolenza, sono visti come beni rifugio e quindi offrono una certa protezione.
Per quanto concerne l’immediato futuro, si prevede largamente che le principali banche centrali inizieranno (leggasi Fed) o proseguiranno (BCE su tutti) il percorso di riduzione dei tassi di interesse, a causa del raffreddamento dell'inflazione e del rallentamento della crescita economica.
Sul versante delle commodities, i prezzi del petrolio hanno toccato il minimo di nove mesi per via delle negoziazioni risk-off, che hanno esercitato una pressione al ribasso sui titoli energetici in generale, ed in considerazione di altri fattori, tra cui la decisione dell’Opec+ di rinviare i tagli alla produzione e un’economia globale giudicata – specie in un’ottica futura – abbastanza incerta.
Europa
I mercati azionari europei hanno esteso le loro perdite per il quarto giorno di negoziazione consecutivo giovedì ed hanno cercato un timido recupero solo nel pomeriggio di ieri, per altro non riuscito.
In particolare, se si analizza la performance su base settimanale, l'Euro Stoxx 600 è sceso del 2,27%, il DAX dell'1,75%, il CAC 40 ha lasciato sul terreno il 2,61% mentre il FTSE 100 l’1,61%. Non fa meglio neanche il nostro FTSE MIB, che perde l’1,70%.
Una combinazione di sentiment negativo, dati macro deludenti e declassamenti degli analisti su alcuni titoli a grande capitalizzazione ha pesato più ampiamente sui mercati.
Ad esempio, UBS ha ridotto il rating di ASML passando da "buy" a "hold", portando le azioni del produttore olandese di apparecchiature per chip a precipitare del 9,5%, sino a raggiungere il minimo di un mese mercoledì, reso possibile anche dal sell-off sul tech globale guidato da Nvidia.
In aggiunta, Morgan Stanley ha tagliato l'obiettivo di prezzo per LVMH, facendo scendere il titolo azionario di lusso più grande d'Europa di quasi il 4% mercoledì, con la debole domanda dei consumatori in Cina citata come ragione principale della riduzione.
A livello di settore, la maggior parte di questi all'interno dell'Euro Stoxx 600 è stata in rosso questa settimana, con i titoli di consumo e dell'energia in testa alle perdite.
Come accennato, tra le performance peggiori negli ultimi cinque giorni di negoziazione troviamo LVMH, in contrazione del 7,28%, Hermès, crollata dell'8,27%, e Christian Dior, scesa del 6,04%. Tra i titoli energetici, Shell ha perso il 4,33%, TotalEnergies è scivolata del 2,56% e BP è calata del 4,21%.
Nel frattempo però, i settori sensibili ai tassi di interesse, tra cui servizi di pubblica utilità e immobiliare, hanno beneficiato delle crescenti aspettative di tagli dei tassi, siglando entrambi un aumento di oltre l'1% rispetto alla scorsa settimana.
Sul fronte dei dati macro, il PMI (Purchasing Managers’ Index) della manifattura rimane ben al di sotto della soglia dei 50, mentre quello dei servizi, pur stazionandovi al di sopra, ha mancato le aspettative degli analisti, determinando in tal modo revisioni al ribasso dell'indice. Questo ha comportato un ulteriore pressione negativa sui mercati, perché ha contribuito a rafforzare i timori di un’economia europea sempre più debole.
Nonostante tutto ciò, l'euro è rimasto vicino al massimo annuale rispetto al dollaro USA a causa delle aspettative che la Federal Reserve (Fed) apporterà tagli più profondi rispetto alla Banca centrale europea (BCE).
A chiudere il quadro per il Vecchio Continente ci ha pensato ieri la lettura finale del PIL dell'Eurozona per il secondo trimestre: report che si potrebbe definire “senza infamia e senza lode”, in considerazione di un +0,6% perfettamente in linea con le attese (se rapportato all’anno scorso) e di un +0,2%, rispetto al +0,3% dei primi tre mesi dell’anno.
Wall Street
Non hanno brillato nemmeno i mercati azionari statunitensi, che alle 16:00 di venerdì ora italiana sono sulla buona strada per una chiusura negativa questa settimana, in quanto il sentiment si è parecchio inasprito sia a seguito di una serie di dati economici deboli (rilevati anche sull’altra sponda dell’Atlantico), sia a causa del trend negativo delle azioni tecnologiche, che hanno guidato le perdite generali per via di una crescita futura che ora viene prevista inferiore rispetto a quella “stellare” vista nell’ultimo anno.
Inoltre, alla stregua di quanto visto in Europa, il PMI manifatturiero statunitense ha indicato che l'attività delle fabbriche si è contratta per il quarto mese consecutivo, mentre quello dei servizi seppur sopra quota 50 permane al di sotto delle attese.
Come se non bastasse, sono emersi segnali di rallentamento nel mercato del lavoro: i report sulle buste paga private hanno rivelato la crescita più debole dal 2021, mentre i non-farm payrolls hanno visto un aumento degli occupati crescere di 142.000 unità (meno delle previste 164.000); unica consolazione il tasso di disoccupazione, che scende al 4,2% (dal 4,3% precedente).
Negli ultimi cinque giorni di contrattazione, il Dow Jones Industrial Average si è contratto dell'1,94%, l'S&P 500 è sceso del 2,57% e il Nasdaq Composite è crollato del 3,31%, con le azioni tecnologiche che hanno pesato molto sugli indici.
Sette settori su undici hanno registrato perdite settimanali, con tech ed energia in testa alla flessione, in calo rispettivamente del 4,2% e del 3,71%.
Al contrario, immobiliare, beni di consumo di base e servizi di pubblica utilità hanno registrato un leggero rialzo su base settimanale, poiché questi settori sono generalmente percepiti come performanti durante i periodi di crisi e tagli dei tassi di interesse (un trend speculare a quello europeo). Comunque sia, anche il settore dei beni di consumo discrezionali ha sovraperformato, sostenuto da un rimbalzo delle azioni Tesla e Amazon.
Nvidia ha per contro esteso le proprie perdite, giungendo ad un sonoro -17% nelle ultime due settimane. Secondo un rapporto di Bloomberg, il produttore di chip ha ricevuto un mandato di comparizione dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DOJ) in relazione a un'indagine antitrust. Tuttavia, la società ha negato le affermazioni.
Altri titoli all'interno del gruppo dei Magnifici Sette hanno mostrato performance contrastanti su base settimanale: se vanno bene Tesla e Amazon, in rialzo rispettivamente dell'11,87% e del 4,15%, Alphabet e Apple lasciano sul terreno il 3,59% e l'1,81%. Microsoft e Meta sono invece rimasti invariati per la settimana.
Altro campanello d’allarme che si è palesato sui mercati e che ha riacceso i timori di una recessione è stato la famigerata – seppur breve – inversione della curva dei titoli di Stato statunitensi, coi rendimenti dei Treasury a 2 anni che sono scivolati al di sotto di quelli a 10. Storicamente, una recessione economica spesso segue la re-inversione della curva dei rendimenti obbligazionari.
Asia-Pacifico
Anche i principali indici di riferimento in Asia sono in territorio negativo per la settimana, con il Nikkei 225 giapponese in calo di oltre il 5%, che sconta uno yen ulteriormente rafforzato. Infatti, il Paese del Sol Levante ha riportato dati sulla crescita salariale più forti del previsto per luglio, il che potrebbe spingere la Banca del Giappone (BOJ) a continuare a inasprire la sua politica monetaria.
Se ciò ha determinato un'impennata dello yen, favorita dagli aumenti dei tassi della BOJ, ha d’altro canto portato a un forte calo del mercato azionario globale all'inizio di agosto (specialmente per la chiusura di moltissime posizioni di carry trade).
Anche l'ASX 200 australiano e l'indice Hang Seng cinese hanno chiuso in ribasso la settimana, riflettendo il sentimento globale di avversione al rischio.
In particolar modo, la Cina ha rivelato un PMI manifatturiero e un PMI dei servizi Caixin più deboli del previsto, suggerendo così che la sua economia rimane su un percorso di ripresa ancora vacillante e, verosimilmente, piuttosto lungo.
A conclusione del quadro, la Reserve Bank of Australia ha ribadito la sua posizione aggressiva sulla politica monetaria, nonostante un rallentamento della crescita economica nel secondo trimestre.
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