Sono disponibili i dati sull’andamento dell’inflazione durante i primi tre mesi del 2024 e le notizie finora non sono buone (o almeno non così tanto quanto ci si aspettasse).
Infatti, che si tratti dei prezzi al consumo o dei costi di produzione all’ingrosso, sebbene l’inflazione sia inferiore al ritmo vertiginoso del 2022, sembra non voler scomparire troppo presto. Anche le aspettative future paiono vedere i suoi livelli leggermente aumentati rispetto a quelli previsti qualche mese fa.
Investitori, consumatori e politici – perfino gli economisti – sono stati colti di sorpresa da quanto siano state ostinate le pressioni sui prezzi dei beni e servizi all’inizio del 2024. Le azioni sono bruscamente scese Venerdì scorso mentre il Dow Jones Industrial Average è salito di quasi 500 punti, perdendo però il 2,4% sulla settimana e lasciando sul terreno quasi tutti i suoi guadagni da inizio anno sino ad ora.
“Se mi prendi in giro una volta, vergognati. Se mi prendi in giro due volte, sono io a dovermi vergognare”, ha detto nel corso di un’intervista alla CNBC questa settimana l’economista di Harvard Jason Furman, proseguendo: “Abbiamo ormai tre mesi di fila in cui i dati effettivi sono risultati superiori rispetto a quanto tutti si aspettavano. È ora di cambiare il modo in cui pensiamo alle cose e a come le vedremo in futuro”.
La FED non può opporsi a tre rapporti sull’inflazione “più caldi” del previsto
Anche i prezzi delle importazioni USA, un dato altrimenti secondario, hanno contribuito alla genesi di questa narrazione. A Marzo si è registrato il maggiore aumento trimestrale rapportato ad un intero periodo di due anni. Tutto ciò si è rivelato essere un grosso fastidio per i mercati, che sono stati svenduti per gran parte della settimana prima del loro brusco calo di Venerdì scorso.
Come se tutte le cattive notizie sull’inflazione non bastassero, la preoccupazione crescente per un possibile attacco di Israele all’Iran ha destato ulteriori timori. I prezzi dell’energia, che sono stati un fattore importante nei dati sull’inflazione, specialmente dopo lo scoppio della guerra Russia-Ucraina, si sono spinti al rialzo alla luce dei segnali di ulteriori turbolenze geopolitiche.
Come suggerisce Jim Paulsen, ex stratega ed economista con decenni di esperienza a Wall Street “Puoi fare la tua scelta. Ci sono molti catalizzatori, ma più di ogni altra cosa, tutto dipende ora da un singolo fatto, che s si manifesterà davvero, darà ai mercati un grande senso di instabilità: la guerra tra Israele e Iran”.
Grandi speranze deluse
Al contrario, all’inizio dell’anno i mercati avevano visto una FED ed una BCE accomodanti, pronte a tagliare i tassi di interesse presto e spesso – addirittura per diverse volte consecutive, se supportati dai futuri andamenti dell’inflazione. Ma con i dati “ostinati” di continua osservazione in questi ultimi due mesi, gli economisti hanno dovuto ricalibrare le loro strategie di investimento, considerando plausibile adesso solo due tagli nel corso dell’anno (e nemmeno così decisi): addirittura oggi, il mercato dei futures vede una probabilità diversa da zero (circa il 9%) di non veder attuata nessuna riduzione dei tassi per quest’anno.
“Mi piacerebbe che la FED fosse in grado di tagliare i tassi entro la fine dell’anno”, ha detto Furman, che è stato presidente del Consiglio dei Consulenti Economico-Finanziari sotto la guida dell’ex presidente Barack Obama. "Ma i dati non sono ancora vicini ad essere lì, almeno per adesso."
In effetti la settimana appena trascorsa è stata piena di cattive notizie economiche, e ogni giorno portava letteralmente una nuova dose di amara realtà sull’inflazione.
Tutto è iniziato Lunedì 08/04 u.s. con una ricerca, effettuata da alcuni membri della FED, che mostrava forti aspettative di aumento degli affitti (per il distretto di New York) per il prossimo anno, in salita dell’8,7% (ovvero 2,6 punti percentuali in più rispetto alle attese). Sono contrassegnate da un aumento anche le previsioni per i prezzi di cibo, gas, assistenza medica e istruzione.
Martedì, la Federazione nazionale delle Imprese Indipendenti ha mostrato che l’ottimismo tra i suoi membri ha toccato il minimo degli ultimi 11 anni, a causa dell’inflazione che viene vista come loro principale preoccupazione.
Mercoledì si poi è registrata una lettura dei prezzi al consumo di gran lunga superiore alle attese, che ha mostrato un tasso di inflazione su 12 mesi al 3,5%, mentre giovedì il Dipartimento del Lavoro ha riferito che i prezzi all’ingrosso hanno mostrato il più grande aumento in un anno dall’aprile 2023.
Infine, un rapporto di venerdì ha indicato che i prezzi delle importazioni sono aumentati più del previsto a Marzo e hanno registrato il più grande incremento in tre mesi da maggio 2022.
Oltre a tutto ciò, Jamie Dimon, CEO di JPMorgan Chase, ha avvertito che “le persistenti pressioni inflazionistiche” rappresentano una minaccia per l’economia.
E il sondaggio sulla fiducia dei consumatori condotto dall’Università del Michigan, attentamente seguito, è risultato inferiore alle attese, con gli intervistati che hanno anche spinto al rialzo le loro prospettive di inflazione.
Ancora pronti a tagliare, prima o poi
Tuttavia, i funzionari della FED hanno notato i valori (presenti ed attesi) più alti del previsto ma non hanno lanciato allarmi di panico, poiché è ancora diffusa la volontà di voler tagliare i tassi entro la fine dell'anno.
“L’economia ha fatto molta strada verso il raggiungimento di un migliore equilibrio e del nostro obiettivo di inflazione del 2%”, ha affermato il presidente della FED di New York John Williams. “Ma non abbiamo ancora assistito al suo totale allineamento al nostro programma”.
Anche la presidente della FED di Boston, Susan Collins, ha affermato di vedere un ritorno dell’inflazione al 2% “durevole, anche se in modo non uniforme”, ma ha osservato che “potrebbe volerci più tempo di quanto si pensasse in precedenza” affinché ciò accada.
In aggiunta a queste riflessioni, è stato abbondantemente notato da diversi economisti ed analisti USA che l’inflazione non ha colpito poi così tanto l’economia reale statunitense: tralasciando i mercati finanziari (ed in particolare lo S&P500 che ha toccato i massimi storici dopo un rally lungo quasi sei mesi), il potere di acquisto dei consumatori non si è poi contratto così tanto. Infatti, se la preoccupazione maggiore era riposta nella spesa “dell’ultimo miglio”, ossia dell’utente finale, oggi si è capito che livelli di inflazione accettabili potrebbero essere intorno al 2,8-3%, anziché al più rigoroso 2%, potendo così aprire comunque ad un futuro taglio dei tassi di interesse.
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