Se i principali benchmark asiatici sono scesi a seguito della chiusura a “luci e ombre” di Wall Street, a seguito del dibattito televisivo sulle elezioni statunitensi tra Kamala Harris e Donald Trump, salgono l’incertezza e la volatilità per l’andamento prossimo dei titoli USA (e non solo).
Infatti, allo stato attuale, gli investitori stanno cercando disperatamente qualche indizio che possa trapelare dai due candidati e che possa avere – o quanto meno far immaginare – un impatto sui mercati finanziari.
Nel frattempo, il valore del dollaro statunitense è aumentato rispetto ai pari in passato quando le aspettative per una rielezione di Trump si sono rafforzate, tra le altre mosse che sono diventate note come parte del "Trump trade", dovuto in parte alla sua richiesta di tariffe e di economia improntata all’”America First”.
Nel trading di valute, il dollaro statunitense è però sceso a 141,72 yen giapponesi (da 142,41). L'euro ha invece toccato quota $ 1,1036, in aumento da $ 1,1023. Inoltre, durante la notte nell'Asia-Pacifico, il benchmark giapponese Nikkei 225 ha perso lo 0,8% nelle contrattazioni mattutine scendendo a 35.867,33 punti, mentre l'S&P/ASX 200 australiano ha lasciato sul terreno lo 0,3%, assestandosi a livello 7.989,90.
Il Kospi della Corea del Sud è scivolato dello 0,2% a 2.517,44 dopo che i dati hanno mostrato che il tasso di disoccupazione destagionalizzato nella nazione è sceso al 2,4% ad agosto 2024 dal 2,5% di luglio, il più basso in un anno con il numero di disoccupati in calo.
Sempre sul versante asiatico, l'Hang Seng di Hong Kong è sceso dell'1,5% fermandosi a 16.984,02 punti, mentre lo Shanghai Composite si è contratto dello 0,8% a quota 2.719,73.
Da specificare però che tali movimenti in campo Forex non sono dipesi solo dal dibattito presidenziale, ma bensì hanno risentito di una moltitudine di fattori di pertinenza nazionale.
Wall Street ha oscillato tra guadagni e perdite
A Wall Street, lo S&P 500 è salito dello 0,4% per avvicinarsi al 3% dal suo record stabilito a luglio.
Ha in effetti oscillato tra piccoli guadagni e perdite nel corso della giornata, ma lievi rispetto alle sue sbandate dall'estate, spinte dalle preoccupazioni per il rallentamento dell'economia statunitense e dal fatto che i tagli previsti ai tassi di interesse non siano realmente in grado di tener fuori gli USA da una possibile recessione.
Il Dow Jones Industrial Average è sceso di 92 punti, o dello 0,2%, e il Nasdaq Composite è salito dello 0,8%. Le azioni Big Tech hanno contribuito a guidare gli indici, ma le questioni bancarie hanno pesato sul mercato in seguito ad alcuni commenti di diversi dirigenti ad una conferenza del settore.
Tutto sommato, lo S&P 500 è salito di 24,47 punti a 5.495,52. Il Dow è sceso di 92,63 a 40.736,96 e il Nasdaq Composite ha aggiunto 141,28 a 17.025,88.
Nel mercato obbligazionario, i rendimenti dei Treasury si sono allentati con quello del decennale è sceso al 3,64% dal 3,70% di lunedì sera. Come le azioni, i rendimenti del Treasury hanno subito forti oscillazioni in vista della riunione della Federal Reserve della prossima settimana, dove l'aspettativa diffusa è che vi sia un primo taglio dei tassi dal crollo derivante dal COVID del 2020.
L'attenzione si sposta su quanto la Fed taglierà i tassi di interesse
Già, il focus degli investitori è però ormai tutto incentrato sulla successiva mossa della banca centrale statunitense (non ne abbiano a male Harris e Trump). La Fed, tramite Powell, aveva già espresso la propria volontà, in occasione del simposio di Jackson Hole, di voler spostare la propria azione dal contrasto al fenomeno inflazionistico al supporto nei confronti del mercato del lavoro, che ultimamente ha dato qualche avvisaglia di possibile risentimento.
In altre parole, ha di fatto traslato il proprio principale obiettivo dallo spegnere l'inflazione elevata al proteggere l'economia in difficoltà.
Al momento, a Wall Street ci si chiede di quanto la Fed taglierà il tasso dei fondi federali, che è fermo al massimo da due decenni, ossia ci si domanda se l’abbassamento del costo del denaro sarà dello 0,25% o dello 0,5%.
Per Powell e colleghi, sarà di aiuto il rapporto arrivato questa settimana sull'inflazione negli Stati Uniti, che potrebbe influenzare proprio l'entità dei prossimi tagli della Fed. Il caso peggiore per la i banchieri centrali sarebbe quello di avere un’inflazione in accelerazione quando il mercato del lavoro è in indebolimento, perché aiutare uno o l’altro punto critico richiederebbe mosse opposte (e quindi volenti o nolenti sacrificarne uno dei due).
Tuttavia il pericolo sembra scongiurato, siccome l'ultimo report sull'inflazione (l'indice dei prezzi al consumo) ha mostrato come i prezzi per i consumatori statunitensi siano stati più alti del 2,5% ad agosto (valore inferiore se paragonato al 2,6% atteso dagli economisti). E ciò ha anche rappresentato un rallentamento rispetto al precedente tasso di inflazione di luglio del 2,9%, dunque sicuramente una buona notizia per la Fed.
Infine, nel settore delle commodities, il greggio WTI è aumentato di 46 centesimi a 66,21 $ al barile, mentre il Brent, lo standard internazionale, che al momento è vicino al suo prezzo più basso dal 2021, ha guadagnato 43 centesimi salendo a 69,62 $ al barile.
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