Sia l'euro che la sterlina britannica sono ulteriormente aumentati rispetto al dollaro USA, mentre i prezzi dell'oro hanno raggiunto un nuovo massimo prima di scendere mercoledì. La debolezza del dollaro potrebbe continuare a esercitare una pressione al rialzo sulle valute e sui prezzi dei metalli preziosi a causa delle crescenti aspettative di tagli dei tassi da parte della Federal Reserve.
Nelle ultime settimane, sono emerse tendenze sostanziali nei mercati dei cambi a causa di un crollo del dollaro USA, spesso definito "dollaro reale". L'euro si è rafforzato in rapporto alla valuta americana sopra 1,09, il massimo dal 10 marzo, mentre la sterlina è salita oltre quota 1,30 rispetto al biglietto verde per la prima volta da luglio 2023.
Nel frattempo, i future sull'oro hanno raggiunto un nuovo massimo di $ 2.488 l'oncia prima di subire una leggera flessione mercoledì. L'indice del dollaro USA, una misura del valore del dollaro rispetto a un paniere di valute estere, è sceso sotto 104, il minimo dal 21 marzo.
La Federal Reserve (Fed), la principale banca centrale, dovrebbe avviare il suo primo taglio dei tassi dalla pandemia nel 2020, a seguito dei dati sull'inflazione statunitense più deboli del previsto pubblicati la scorsa settimana. Gli investitori monitoreranno attentamente anche la decisione sui tassi della Banca centrale europea (BCE) programmata per il prossimo settembre, considerando che quella di ieri non ha apportato alcuna modifica a riguardo.
L'euro e la sterlina potrebbero subire ulteriori pressioni al rialzo
L'euro ha superato i nervosismi politici delle elezioni francesi, con il suo tasso di cambio rispetto al dollaro USA in aumento di oltre il 2% nelle ultime quattro settimane. L'imminente decisione sui tassi della BCE potrebbe continuare a esercitare una pressione al rialzo sulla valuta, poiché i mercati si aspettano che la banca centrale mantenga una posizione aggressiva dopo aver effettuato il suo primo taglio dei tassi a giugno.
I mercati hanno infatti già scontato una riduzione di 0,4 punti percentuali sui tassi di riferimento per il resto dell'anno, con il secondo taglio dato appunto come probabile a settembre. Tuttavia, rimane incertezza sul fatto che la BCE procederà con un terzo taglio a dicembre. Al contrario, si prevede ampiamente che la Fed implementerà un taglio di 0,25 punti percentuali a settembre, eventualmente seguito da altri due tagli a novembre e dicembre, per una riduzione totale dello 0,75% dei tassi di interesse quest'anno. Pertanto, le aspettative di un taglio dei tassi più rapido e più elevato da parte della Fed potrebbero continuare a rafforzare l'euro rispetto alla sua controparte statunitense.
In realtà, come spesso accade, investire sulla sola base di pure previsioni può rivelarsi pericoloso (e sbagliato) ed equivale a speculare: basti pensare che fino a un mese fa, la moneta unica sembrava incapace di recuperare terreno rispetto a quella USA e, soprattutto, Powell aveva dichiarato che per il 2024 sarebbe stato plausibile ipotizzare un solo taglio, per poi effettuarne di ulteriori l’anno prossimo.
In aggiunta mercoledì, i dati dell'indice dei prezzi al consumo (CPI) più alti del previsto dal Regno Unito hanno aumentato la probabilità che la Banca d'Inghilterra mantenga tassi di interesse più elevati per un periodo più lungo, spingendo la sterlina a un nuovo massimo annuale. In generale, al momento, la Fed è vista come a un punto di svolta verso una posizione più accomodante, mentre altre banche centrali mantengono una posizione politica più conservativa.
L'oro sperimenta un'impennata senza precedenti
L'oro potrebbe anche continuare a salire a causa del potenziale inizio di un ciclo di tagli dei tassi da parte della Fed. Storicamente, i prezzi dei metalli preziosi entrano in un trend rialzista quando il dollaro statunitense ne sperimenta uno ribassista, poiché la “moneta rifugio” è abbandonata dagli investitori in favore del “bene rifugio”.
Inoltre, poiché l'oro è quotato globalmente in dollari USA, un dollaro più debole rende l'oro più accessibile per gli acquirenti che utilizzano altre valute. Ciò tende ad aumentarne la domanda e, di conseguenza, il suo prezzo. Si prevede che l'incertezza economica globale tra il rallentamento della crescita e l'aumento delle tensioni geopolitiche incrementerà ulteriormente l'attrattiva del metallo giallo come bene di riferimento per i risparmiatori.
Secondo il World Gold Council "Un ambiente geopolitico e finanziario sempre più complesso sta rendendo la gestione delle riserve auree più rilevante che mai". Le banche centrali hanno aumentato le loro riserve negli ultimi due anni, aggiungendo un totale di ben 1.037 tonnellate nel 2023.
L'oro ha ripetutamente raggiunto nuovi massimi quest'anno, con un rialzo di quasi il 20% da inizio anno, superando lo S&P 500. Tuttavia, il World Gold Council ha sostenuto nel suo Gold Mid-Year Outlook 2024 che "L'oro potrebbe continuare a muoversi in un intervallo simile a quello che abbiamo visto negli ultimi mesi".
Il resto dei mercati finanziari
L’Europa non brilla nemmeno questa settimana, con il FTSE 100 che perde, al momento della stesura dell’articolo, l’1,22%, il CAC 40 l’1,92%, l’IBEC l’1,45% e il FTSE MIB, che fa leggermente meglio, risulta in calo dello 0,82%. Probabilmente le aspettative su una crescita economica non proprio dirompente e il mantenimento per almeno di altri due mesi di tassi piuttosto alti a causa di un’inflazione che non sembra voler raggiungere (quanto meno in maniera rapida ed uniforme nell’eurozona) l’obiettivo del 2%, pesano sul sentiment degli investitori e portano le loro conseguenze.
Anche i timori derivanti dall’inasprimento dei rapporti tra USA e Cina e la preoccupazione crescente per l’incertezza elettorale americana (Trump è sempre più United States-oriented mentre Biden sembra incapace di poter portare a termine un altro mandato presidenziale – posto che le sue probabilità di vittoria sono molto esigue) si ripercuotono sui mercati europei, spaventati dalla perdita della guida che, volenti o nolenti, l’azionariato a stelle e strisce esercita a casa nostra.
Proprio sul versante di Wall Street, per la prima volta da aprile, lo S&P500 sperimenta una settimana piuttosto negativa, lasciando sul terreno lo 0,85% negli ultimi cinque giorni di negoziazione; fa peggio il Nasdaq, che nel medesimo intervallo di tempo perde il 2,58%. Questi ribassi possono essere dovuti sia a prese di profitto momentanee, dopo un rally che ha condotto i due indici ai massimi storici, sia a preoccupazioni crescenti per situazione geopolitica tra Cina e Taiwan: TSMC, l’azienda taiwanese leader nella produzione di microprocessori per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale (che ha stretti contatti commerciali con Nvidia e, a ruota, con gli altri giganti tech statunitensi) potrebbe essere seriamente minacciata qualora le tensioni tra i due Paesi dovessero concretizzarsi, anche se ciò risulta allo stato attuale poco probabile.
Inoltre, alcune dichiarazioni di Trump, che ha suggerito di voler tassare la tecnologia americana utilizzata da aziende estere (come l’olandese ASML) qualora i prodotti da queste realizzati vengano fornite al colosso cinese, reo di impiegare questi beni a scopo militare o dual use, ha suscitato ulteriori agitazioni in campo AI.
Staremo a vedere se ciò sarà l’inizio di una rotazione settoriale o se sarà una semplice correzione temporanea.
Infine, la settimana in chiusura fa registrare un marcato trend negativo anche per quanto concerne l’Asia Pacifico: il Nikkei è infatti crollato del 3,85% negli ultimi cinque giorni di negoziazione (probabilmente una perdita dovuta anche ad un rafforzamento dello yen e dal recente raggiungimento di nuovi record, con potenziali prese di profitto); l’Hang Seng fa peggio, lasciando sul terreno il 4,31%, a causa dei dati sul PIL rilasciati ad inizio settimana (a tal proposito puoi leggere il mio articolo “Il PIL cinese del secondo trimestre delude le aspettative”); da ultimo, l’indice australiano ASX 200 è l’unico a portare a casa una performance positiva, seppur lieve, registrando un +0,15%.
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