Wall Street vede un mare di rosso mentre gli investitori temono un rallentamento economico degli USA

Wall Street vede un mare di rosso mentre gli investitori temono un rallentamento economico degli USA

Le azioni hanno aperto e chiuso in forte ribasso ieri a Wall Street, sulla scia di un considerevole timore per un rallentamento economico, ritenuto ormai piuttosto prossimo, negli Stati Uniti. Il Dow scende di circa 1.000 punti, lasciando sul terreno il 2,6%, lo S&P500 perde il 3% e il Nasdaq cala del 2,96%.

Come era lecito immaginarsi, i mercati europei avevano già anticipato tali movimenti negativi, trascinati a loro volta dall’indice Nikkei 225 che nella sola giornata di lunedì ha bruciato miliardi di capitalizzazione, chiudendo ad un -12% che non si vedeva dal 1987.

Globalmente, sta prendendo sempre più piede il sentimento di avversione al rischio, che almeno al momento continua a prevalere. "I mercati stanno vivendo vendite di panico a causa dei dati economici attenuati negli Stati Uniti, mentre la Federal Reserve (Fed) è rimasta contraria ad abbassare i tassi di interesse. Gli investitori temono che la Fed possa essere troppo lenta nell'allentare la sua politica monetaria per evitare una recessione economica", ha spiegato l'analista di mercato Tina Teng.

"I beni rifugio, tra cui oro, yen giapponese, euro e titoli di Stato, sono saliti mentre gli investitori si sono riversati in destinazioni più sicure. Inoltre, l'indicatore della paura, il CBOE Volatility Index (VIX), è salito del 26% a oltre 23, il livello più alto visto da marzo 2023", ha aggiunto.

I trader negli Stati Uniti ora scommettono che la Federal Reserve dovrà tagliare i tassi di mezzo punto percentuale a settembre (invece del solito quarto di punto). Alcuni addirittura chiedono un taglio dei tassi “in emergenza”. Eppure, c’è chi invece in questo momento sta facendo acquisti in saldo (del resto, come dargli torto), con il pensiero operativo che una svendita così forte sia in realtà una buona cosa, considerando – forse – l’eccessivo incremento dei prezzi delle azioni, saliti ai massimi storici negli ultimi mesi.

Ecco uno sguardo a ciò che sta guidando la turbolenza nei mercati

Inflazione e banche centrali

Sebbene la Fed non abbia aumentato il suo tasso di riferimento da un anno, i tassi di interesse rimangono ai massimi di oltre due decenni dopo che la banca centrale statunitense li ha aumentati 11 volte a partire dal 2022 nel tentativo di far scendere l'inflazione al suo obiettivo del 2%. Parte dell'obiettivo della Fed era infatti raffreddare un mercato del lavoro rovente che si era ripreso dopo la recessione pandemica, così come il resto dell'economia statunitense.

In aggiunta, quando Powell la scorsa settimana aveva annunciato che un primo taglio dei tassi sarebbe stato possibile a settembre, i mercati azionari avevano accolto favorevolmente questa notizia, facendo registrare rialzi considerevoli. Tuttavia, è bastata la pubblicazione dei dati ISM manufatturiero e quelli sul lavoro USA per gettare gli investitori nel panico, dando il via ad un forte sell-off e a causa di un inizio di una ipotetica recessione.

Per quanto concerne le altre banche centrali, tralasciando la Bank of Japan che fa storia a sé, la Bank of England si è già mossa tagliando di uno 0,25% proprio la settimana scorsa, giusto in tempo prima del crollo. Analogamente, anche la BCE a giugno ha ridotto della stessa percentuale il tasso di riferimento, con il quadro europeo che però allo stato attuale non mostra un’economia tonica.

Ora ci si chiede dunque se quel “higher for longer” non sia stato effettivamente per troppo a lungo.

In più, persiste sempre l’incognita inflazione: se è vero che pare sia in discesa dai picchi massimi dei mesi scorsi, è in ogni caso da segnalare che la strada per raggiungere l’obiettivo del 2% risulta essere ancora lunga e non priva di ostacoli.

Ansia per l'economia statunitense

Alcuni segnali negativi si erano già intravisti nelle scorse settimane, tra cui la spesa degli americani a basso reddito che si era contratta nell’ultimo periodo, ma nel complesso l'economia era comunque cresciuta a un tasso del 2,8% nel secondo trimestre, allontanando dalla mente degli investitori i pericoli di rallentamento della crescita.

Poi sono arrivati ​​i report economici della scorsa settimana.

Il dato ISM manufatturiero è stato al di sotto delle aspettative e in contrazione, mentre quello mensile inerente al mercato del lavoro ha mostrato una significativa diminuzione nelle assunzioni da parte dei datori di lavoro statunitensi. Non ultimo, anche i report sulla produzione e l'edilizia sono stati deboli.

Big Tech

Mentre i titoli tecnologici sono stati i maggiori vincitori nella corsa al rialzo del mercato quest'anno, i membri del gruppo di titoli altamente influenti, noti come "Magnifici Sette", hanno – chi più chi meno – deluso gli investitori nei loro ultimi report sugli utili. A dire il vero, è bastato anche un solo parametro leggermente al di sotto delle attese da scatenare sui colossi tecnologici una svendita considerevole.

Comunque sia, questa manciata di titoli Big Tech ha portato l'S&P 500 a decine di record da fine 2023 sino a qualche settimana fa, a causa sia della frenesia attorno alla tecnologia dell'intelligenza artificiale, sia ad una speculazione quasi incontrollata, che ha fatto sentire chi non possedeva almeno un titolo tech come estromesso dal carro dei vincitori.

Ma il loro slancio si è trasformato il mese scorso dapprima in una iniziale preoccupazione che gli investitori avessero alzato troppo i prezzi e che le aspettative per i loro guadagni di profitto fossero diventate troppo difficili da sostenere, specialmente sul lungo termine. In seguito, si è sviluppata una vera e propria ingente svendita che si è abbattuta su tutto il settore tecnologico, trascinando verso il basso i listini azionari globali.

In particolare, Apple è scesa del 5% lunedì dopo che la Berkshire Hathaway di Warren Buffett ha rivelato di aver tagliato la sua quota di proprietà nel produttore di iPhone. Nvidia ha perso più di 238 miliardi di dollari di valore di mercato giovedì e venerdì e il titolo è sceso di un altro 7% nella sola giornata di ieri.

Il crollo del Giappone

Il Nikkei ha subito il suo peggior calo di due giorni di sempre, scendendo del 18,2% nelle ultime due sessioni di negoziazione. L'ondata di vendite ha colpito tutti i tipi di aziende, tra cui Toyota, Honda e il produttore di chip per computer Tokyo Electron.

I prezzi delle azioni sono scesi a Tokyo da quando la Banca del Giappone ha aumentato il suo tasso di interesse di riferimento mercoledì, favorendo un rialzo della propria valuta e colpendo in tal modo maggiormente le aziende esportatrici.

Gli analisti hanno affermato che un fattore che ha contribuito al calo dei prezzi delle azioni sono stati i carry trade perpetrati nel corso degli ultimi decenni. Questo fenomeno finanziario si sviluppa quando gli investitori prendono in prestito denaro da un paese con bassi tassi di interesse e una valuta relativamente debole, come il Giappone, e investono quei fondi in luoghi che produrranno un rendimento elevato. Ma dopo le ultime mosse della Bank of Japan che ha alzato i tassi di riferimento (da negativi che erano), hanno comportato uno yen giapponese più forte: ciò potrebbero costringere gli investitori a vendere azioni USA (territorio su cui i giapponesi sono molto esposti) per ripagare proprio quei prestiti, che oggi risultano essere molto meno convenienti.

Prese di profitto

Già, i mercati sono guidati dalle azioni dell’uomo e non da qualche strana entità paranormale. Questo significa che sono fortemente soggetti alle emozioni e alle decisioni della maggioranza delle persone. Così, molto semplicemente, se in tanti temono che il rally sia finito, allora prevarrà un sentimento di avversione al rischio che, anziché essere rivolto al pericolo di recessione, è più banalmente orientato alla paura di perdere i propri guadagni, con la conseguente spinta a liquidare le posizioni aperte.

Del resto, cosa è davvero cambiato venerdì o ieri rispetto ad una settimana fa? I fondamentali delle società quotate sono sempre gli stessi, così come invariate risultano essere le loro prospettive di crescita (certo, magari riviste verso valori “più normali” ma comunque sia in aumento per i prossimi anni a venire).

Pertanto, forse anche questa causa va, almeno in via ipotetica, presa in considerazione. Del resto, oggi il Nikkei 225 ha recuperato un sonoro 11%. Auspichiamo che anche gli altri mercati seguano l'esempio.

Disclaimer: Il presente articolo ha un puro scopo informativo e non costituisce raccomandazione di investimento. Tutti i diritti riservati.

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