Un piano per sbloccare i finanziamenti per la crescita dell'Europa è in cima all'agenda politica da anni, sebbene realizzare un mercato finanziario unico per i capitali in tutto il continente non sia un compito facile e continuerà a mettere alla prova anche la prossima leadership.
I cittadini di 27 paesi europei andranno alle urne questa settimana per eleggere i nuovi membri del Parlamento europeo, che poi procederà a nominare il suo presidente come prima azione dopo le elezioni del 6-9 giugno.
La domanda è: la nuova leadership europea condividerà la stessa visione su un'Unione dei mercati dei capitali e ci sarà mai abbastanza volontà politica per vederne la realizzazione? (Se sei interessato ad approfondire ulteriori dettagli in merito puoi consultare anche il mio precedente articolo “Capital Market Union (CMU): cos’è e cosa potrebbe portare all’Europa?”).
Per un contesto più ampio, l'iniziativa Capital Markets Union (CMU) è stata lanciata dalla Commissione Jean-Claude Juncker, che ha adottato il primo piano d'azione CMU nel settembre 2015. Ha stabilito un elenco di oltre 30 azioni per stabilire le fondamenta di un mercato dei capitali integrato nell'UE entro il 2019.
Ma ad oggi purtroppo, facendo un salto a giugno 2024, il piano più ampio per la CMU, ovvero creare un mercato unico per i capitali in tutto il territorio dell'UE con investimenti e risparmi che fluiscono attraverso i suoi confini, deve ancora essere realizzato.
Perché è necessaria un'Unione dei mercati dei capitali?
Mairead McGuinness, l'attuale commissario UE per i servizi finanziari, la stabilità finanziaria e l'Unione dei mercati dei capitali, ha affermato in un articolo del Financial Times di marzo di quest'anno che l'UE attualmente non offre alle aziende nazionali sufficienti opzioni di finanziamento dai mercati dei capitali.
Di conseguenza, si stanno rivolgendo altrove. Ad esempio, Birkenstock, il marchio di calzature tedesco, ha deciso di raccogliere fondi quotandosi l'anno scorso alla Borsa di New York, invece che a una borsa di Francoforte, Parigi o Amsterdam.
È solo un esempio di una grande azienda europea che ha dovuto andare all'estero per trovare finanziamenti e risorse. Un problema che McGuinness ha detto che deve essere affrontato.
McGuinness ha anche ampiamente evidenziato come l'Europa sia in ritardo rispetto agli Stati Uniti e alla Cina sui mercati dei capitali, il che a sua volta limita le prospettive per le aziende europee che vogliono crescere, innovare e creare posti di lavoro nell'UE.
Cosa impedisce il progresso dell'Unione dei mercati dei capitali?
Sebbene siano state concordate molte misure normative, gli interessi nazionali degli stati membri hanno impedito al piano dell'Unione dei mercati dei capitali di andare avanti.
Francia e Germania hanno mostrato sostegno all'Unione dei mercati dei capitali mentre un certo numero di nazioni è riluttante a cedere più controllo a Bruxelles con molti paesi preoccupati per i costi aggiuntivi per le loro industrie finanziarie nazionali.
Di conseguenza, i sistemi finanziari in tutto il blocco rimangono frammentati e le leggi specifiche per paese continuano a ostacolare i finanziamenti transfrontalieri.
In sostanza, le norme sugli investimenti e sull'insolvenza devono essere unificate per rendere più facili gli investimenti transnazionali. Pertanto, i leader dei governi nazionali dovranno accettare tutto questo affinché l'Unione dei mercati dei capitali possa realizzarsi, il che richiederà lo stesso livello di volontà politica che ha creato il mercato unico europeo nel 1993.
I provvedimenti necessari per l’UE
Cercando di avere una visione più ampia dell’Europa e del suo ruolo nel mondo, vi sono anche altre misure attuative che andrebbero messe in atto: infatti, non è necessaria solo la costituzione di un mercato unico dei capitali ma bensì diventa allo stesso tempo imprescindibile avere una unione anche di bilancio (e dunque non solo finanziaria).
Questo permetterebbe di poter monitorare il debito pubblico degli Stati membri, intervenendo per tempo ed evitando le successive misure correttive nei confronti della singola nazione (il nostro Paese ne è purtroppo un esempio). Non solo: un’unione economico-finanziaria consentirebbe anche l’emissione di strumenti risk-free europei, i quali potrebbero a loro volta rappresentare sia uno strumento di confronto con altre attività finanziarie, sia un asset per investitori retail ed istituzionali ove allocare le proprie risorse in cambio di rendimenti determinati. E’ vero che ci sono già gli Eurobond, ma implementarli sarebbe tutt’altro che sbagliato.
In aggiunta, pare fondamentale anche attenuare la pressione sulle imprese in termini di interventi in materia di concorrenza, che spesso hanno ostacolato lo sviluppo di realtà europee al fine di garantire a tutti una fetta di mercato; per contro però, così facendo, si è impedita la competitività aziendale che è sano motore di crescita.
Da ultimo, un ulteriore passo che sarebbe necessario effettuare è quello di evitare l’apposizione di dazi verso Paesi extra-UE: il protezionismo economico non è certamente la risposta contro l’avanzare di super potenze estere. Ciò perché non solo determina il medesimo comportamento da parte della nazione che per prima subisce questo ostacolo al proprio commercio (con conseguenze negative per le imprese esportatrici UE) ma anche poiché non permette di dare una effettiva risposta allo svantaggio che oggi l’Europa ha nei confronti di Stati Uniti e Cina: al contrario, favorire lo sviluppo tramite investimenti mirati e verso specifici settori (intelligenza artificiale, decarbonizzazione e difesa, tanto per citarne alcuni) sarebbe sicuramente più utile a far sviluppare la crescita economica europea.
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